Consigli di lettura. La storia dei pantaloni: da simbolo maschile a capo universale.

Il cinema e le icone di emancipazione. Negli anni Trenta, il cinema hollywoodiano contribuì a sdoganare l’immagine della donna in pantaloni. Marlène Dietrich, Greta Garbo e Katharine Hepburn si presentarono in pubblico con smoking e pantaloni maschili, rompendo i tabù dell’epoca. Dietrich e Garbo vennero viste come simboli di eleganza “europea”, mentre Hepburn fu criticata per la sua disinvoltura, ma proprio il suo atteggiamento naturale contribuì a rendere i pantaloni un capo accettabile anche per le donne comuni.

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La storia dei pantaloni: da simbolo maschile a capo universale. I pantaloni, oggi parte essenziale dell’abbigliamento di uomini e donne, hanno una storia lunga e complessa che attraversa secoli, culture e significati sociali. Il termine deriva da “Pantalone”, una delle maschere più note della Commedia italiana, il cui costume includeva culotte lunghe e aderenti. A sua volta, la maschera prendeva nome dal veneziano Pantaleone, in riferimento a San Pantaleone, santo molto venerato a Venezia. Prima dell’affermarsi del nome moderno, i pantaloni furono chiamati in diversi modi. Nell’antichità, i Celti e i Germani indossavano le brache, due gambe indipendenti legate sul bacino. Nel XVI e XVII secolo comparve il renegravio, una sorta di jupe-culotte maschile plissettata e decorata. Nel Settecento, la culotte aristocratica scendeva fino al ginocchio, mentre nell’Ottocento si diffusero i pantaloni alla zuava, corti e ampi, spesso associati a uniformi militari. Queste denominazioni riflettono l’evoluzione storica del capo, che da indumento pratico e militare diventa, col tempo, elemento di distinzione sociale e poi di libertà individuale. Nel corso dei secoli, i pantaloni sono stati confezionati con materiali differenti a seconda della funzione e della stagione. Tela e lino  venivano impiegati per l’estate, grazie alla loro leggerezza. Velluto e lana per l’inverno, per il calore che offrivano. Il denim, nato come tessuto da lavoro, divenne celebre per i blue jeans. Anche pelle, gomma, vinile e lattice furono utilizzati per modelli particolari. Con l’introduzione dei tessuti elastici come la lycra, nacquero i leggings e i fuseaux, capi aderenti e sportivi. Questa varietà testimonia la straordinaria versatilità dei pantaloni, adattabili a clima, mestiere, estetica e identità. Pantaloni e genere: un simbolo di potere. Sebbene oggi siano considerati un capo unisex, per molti secoli i pantaloni furono un privilegio maschile. Rappresentavano forza, libertà e autorità, mentre alle donne era imposto l’abito lungo, simbolo di modestia e subordinazione. I primi esempi di pantaloni femminili risalgono alla Persia antica, ma in Europa il capo divenne accettabile per le donne solo nel XX secolo. Fino ad allora, motivi religiosi e morali vietavano l’uso dei pantaloni femminili, ritenuti contrari alla “natura” e ai ruoli sociali tradizionali. Il divieto francese del 1800Un episodio significativo di questa discriminazione avvenne in Francia, dove il 7 novembre 1800 il prefetto della Polizia di Parigi emanò un’ordinanza che proibiva alle donne di indossare pantaloni, salvo autorizzazione medica rilasciata dalla prefettura. La legge, mai abrogata per oltre due secoli, rappresentò un chiaro esempio di controllo istituzionale sul corpo femminile. Solo due circolari — nel 1892 e nel 1909 — ne attenuarono la rigidità, permettendo i pantaloni a chi guidava una bicicletta o montava a cavallo. Tuttavia, nella mentalità comune, la donna in pantaloni restava “scandalosa”: da qui espressioni popolari come “una donna che porta i pantaloni si porta male”. Nonostante ciò, alcune figure d’eccezione come Rose Bonheur e George Sand ottennero permessi speciali per vestirsi in abiti maschili, diventando simboli di libertà e anticonformismo. Sport, lavoro e necessità pratica. A partire dal XIX secolo, lo sport e il lavoro femminile furono determinanti per la diffusione dei pantaloni. Attività come alpinismo, ciclismo o equitazione richiedevano libertà di movimento e indumenti funzionali. Nel mondo del lavoro, le donne delle miniere di Wigan in Inghilterra furono tra le prime a indossare pantaloni per ragioni di sicurezza, suscitando scandalo nella società vittoriana. Anche nell’Ovest americano, le lavoratrici dei ranch li usarono per cavalcare e lavorare con praticità. Durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, milioni di donne assunsero ruoli maschili nelle fabbriche e nei campi, indossando i pantaloni dei mariti mobilitati. In quel periodo il capo divenne simbolo di impegno e resilienza, segnando un momento decisivo verso la normalizzazione dell’abbigliamento femminile pratico. Il cinema e le icone di emancipazione. Negli anni Trenta, il cinema hollywoodiano contribuì a sdoganare l’immagine della donna in pantaloni. Marlène Dietrich, Greta Garbo e Katharine Hepburn si presentarono in pubblico con smoking e pantaloni maschili, rompendo i tabù dell’epoca. Dietrich e Garbo vennero viste come simboli di eleganza “europea”, mentre Hepburn fu criticata per la sua disinvoltura, ma proprio il suo atteggiamento naturale contribuì a rendere i pantaloni un capo accettabile anche per le donne comuni. Un caso emblematico fu quello di Helen Hulick, testimone in un processo a Los Angeles nel 1938, condannata a cinque giorni di carcere per essersi presentata in pantaloni: un gesto che oggi appare assurdo, ma che all’epoca evidenziava quanto la libertà di vestire fosse ancora controversa. La consacrazione nella moda del Novecento. Negli anni Sessanta, la moda sancì definitivamente l’ingresso dei pantaloni nel guardaroba femminile. Lo stilista André Courrèges e soprattutto Yves Saint Laurent proposero pantaloni eleganti e smoking per donna, ridefinendo il concetto di femminilità moderna. Saint Laurent, con il suo tailleur-pantalone, diede dignità sartoriale a un capo fino ad allora “maschile”, trasformandolo in simbolo di eleganza e potere. Parallelamente, il jeans, nato come abito da lavoro, divenne icona di libertà e uguaglianza nei movimenti giovanili degli anni ’60 e ’70.Da allora, i pantaloni si imposero in ogni contesto: dal lavoro alla moda, dalla vita quotidiana alle passerelle. Il divieto sociale di indossarli nei luoghi pubblici o nei ristoranti eleganti scomparve progressivamente. L’abrogazione della legge francese e i diritti contemporanei. Nonostante il cambiamento sociale, la vecchia ordinanza parigina del 1800 rimase formalmente in vigore fino al XXI secolo. Nel 2003, il deputato Jean-Yves Hugon ne propose l’abrogazione, ma la ministra Nicole Ameline rispose che non era necessario intervenire su una legge “non più applicata”. Solo nel 2013 il ministro dei Diritti delle Donne ne dichiarò l’abrogazione implicita, poiché contraria ai principi costituzionali di uguaglianza tra uomini e donne. Questo episodio mostra quanto a lungo il controllo sull’abbigliamento femminile sia rimasto simbolicamente radicato nelle istituzioni. I pantaloni come simbolo politico e culturale. Non in tutto il mondo, però, i pantaloni femminili sono accettati. In Sudan, per esempio, una legge che vieta “l’abbigliamento indecente” viene ancora interpretata come divieto per le donne di indossare pantaloni, punito con la fustigazione. Questi episodi dimostrano che l’abbigliamento è ancora oggi un campo di battaglia per i diritti e la libertà individuale. I pantaloni, più di molti altri capi, hanno assunto una valenza politica: sono stati simbolo di ribellione, di parità, di emancipazione. Ogni volta che una donna ha deciso di indossarli in una società che glielo vietava, ha compiuto un atto di affermazione personale e collettiva. Dal capo maschile al simbolo unisex. Oggi i pantaloni sono universalmente riconosciuti come un capo unisex, declinato in infiniti stili, materiali e funzioni. Dalle passerelle alle strade, rappresentano un linguaggio universale di libertà e praticità. Il loro percorso storico è anche un riflesso dell’evoluzione dei ruoli di genere e della società moderna: da simbolo di potere maschile a strumento di emancipazione femminile, fino a divenire segno di uguaglianza.
Le mode contemporanee, con l’ascesa di collezioni genderless, hanno praticamente cancellato la distinzione tra pantaloni da uomo e da donna. Oggi chiunque può indossarli come forma di espressione personale, creativa e identitaria. La storia dei pantaloni racconta, in fondo, la storia della libertà umana. Dalle brache dei Celti ai jeans dei giovani ribelli, dalle culotte dei nobili francesi ai tailleur moderni, questo capo ha attraversato trasformazioni profonde, adattandosi ai mutamenti sociali e culturali. Per secoli simbolo di potere maschile, i pantaloni sono diventati il segno concreto dell’emancipazione femminile e dell’uguaglianza tra i sessi. Oggi rappresentano un abito quotidiano, ma dietro la loro apparente semplicità si nasconde una lunga battaglia per il diritto all’autonomia e all’identità. Indossare un paio di pantaloni, un tempo gesto proibito o scandaloso, è oggi un atto normale ma anche il risultato di secoli di conquiste, di coraggio e di trasformazioni sociali che hanno cambiato per sempre il modo in cui la moda interpreta la libertà.

Se questo articolo ti è piaciuto ti consigliamo i seguenti testi presenti nella Monserratoteca :
La vita bassa di Alberto Abrasino Adelphi, 2008 (Collocazione 858.914 ARB)
Volevo i pantaloni di Lara Cardella Mondadori, 1989 (Collocazione 853.914 CAR)
La mia vita bassa : diario di Carolina di Guido Bagatta Zelig, 2005 (Collocazione 853.914 BAG)

Buona Lettura!!


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